Il successo planetario della street art ha reso più indeterminati i confini tra l’atto vandalico e l’intervento sociale, la libera espressione artistica e i processi di reificazione. Da fenomeno di guerriglia simbolica e di abusivismo, vissuto perlopiù in clandestinità, l’estetica delle tag, degli stencil, dei poster e delle contraffazioni si è tramutata in una merce, divampando nella comunicazione pubblicitaria ed entrando al servizio dell’industria culturale.
Le stesse istituzioni che l’hanno combattuta e criminalizzata, ora la vezzeggiano e ne colgono le opportunità, mobilitando una retorica della città creativa non meno mediatica e strumentale della città sicura che ne bandiva le manifestazioni.
Riflettere sulla street art significa allora addentrarsi in un territorio costellato dagli equivoci, in cui la vocazione critica e sovversiva dell’arte entra in risonanza con il dispiegamento dei grandi capitali, le strategie di branding, le tecnologie di governo e il conformismo.
Ma è proprio questa esuberanza di significati, l’ambiguità e l’ironia che la rendono irriducibile a qualsiasi definizione di genere, a fare della street art un oggetto specifico degli studi culturali o di quella che Antonio Gramsci chiamava una «filosofia dell’atto impuro, cioè reale».
Con questo seminario, pertanto, il Campo della cultura della Fondazione Mario Del Monte propone una discussione sull’esperienza della città che si è definita e si rispecchia nelle forme parassitarie dell’arte abusiva, sulla strada non troppo ideale che collega il deposito di una stazione ferroviaria al centro del mondo in cui la controcultura viene battuta all’asta.